venerdì 19 novembre 2010

le buone cose di pessimo gusto



Il primo pezzo che ho ascoltato dei Massimo Volume faceva parte di una quelle compile su nastro che poteva capitarti di ricevere in regalo ancora nei primissimi anni del nuovo millennio.

Io facevo la terza superiore, lui aveva appena finito la maturità e
loro si stavano sciogliendo.

Un paio d’anni dopo ho scelto Bologna anche perchè era stata la città dei Massimo Volume. Era un periodo in cui di loro si parlava pochissimo e non capitava di incontrarli per strada. Un’amica aveva in casa Le notti del Pratello, il primo romanzo di Clementi: l’ho letto in un pomeriggio e sono rimasta intimidita: la città che mi circondava non aveva niente dell’epica del romanzo ed ebbi la netta impressione di aver sbagliato tutto, che non avrei mai potuto attingere a quel sostrato mitico di cui si nutriva il racconto. Ed è vero, non ce l’ho mai fatta, per i primi anni era quasi un peso vivere in una Bologna che non era “quella” Bologna -che fosse quella del settantasette o quella degli anni novanta non faceva differenza- poi, col tempo, uno se ne fa una ragione.
Col passare dei mesi divenne meno raro incontrarli, anzi incontrare Mimì.
Nel 2004 uscì L’ultimo Dio e ci furono dei reading, sicuramente una presentazione alla feltrinelli in centro, a due passi da quella che sarebbe stata la mia casa fino al mese scorso.
Simone fece incidere sul manico del basso la firma di Mimì, un orribile sgorbio in stampato maiuscolo.
Lo stesso anno uscì anche Stanza 218: ho un ricordo abbastanza vago di un concerto estivo in Vicolo Bolognetti, Mimì con parecchia panza e poca convinzione, un tizio alto alle basi. Il poster blu è rimasto appeso tantissimo dietro la porta di camera mia.
Poi aprì anche il Modo e non era raro imbattersi in Egle o Vittoria dietro il bancone. Il Modo-sia la libreria che il bar- è un posto in cui ho impiegato anni a sentirmi un minimo a mio agio, per entrarci senza guardarmi le scarpe. Per un periodo, piuttosto che passarci davanti, attraversavo via Mascarella e salivo lungo l'altro lato del portico.
I gestori, della libreria e del bar, intercambiabili, sembravano risaliti da chissà quale inferno e tu eri sempre troppo sbarba o ingenua o che ne so per godere della loro considerazione, mentre non avresti voluto altro che si aprissero un poco.
Dopo il 2008 le cose sono un pochino cambiate, ed è diventato un luogo più accogliente ma ho sempre l’impressione di passarci senza avere la possibilità di lasciare il segno, che, a ben vedere, è proprio la stessa cosa che temo di Bologna: essere passata ed essermene andata senza lasciare il segno.
I Massimo Volume si sono riformati quando me ne sono andata.
Non è vero, si sono riformati due anni prima.
Riformulo: i Massimo Volume hanno fatto uscire il loro nuovo disco l’autunno in cui ho lasciato Bologna.
Il concerto di apertura del tour è stato ieri sera all’Hiroshima a Torino: pubblico compatto e concentrato, commosso e felice come loro sul palco.
Alla reunion di due anni fa al Traffic sembravano indifesi e ancora titubanti sul palco di metà pomeriggio (ancorchè perfettamente in grado di scatenare un uragano che funestò il set di Patty Smith e Afterhours e lo rese -ovvimente- indimenticabile). Poi c’era stata una coda di concerti estivi e le date autunnali dell’Estragon in cui è
stato registrato il disco live.
Infine in questo ottobre l’album, Cattive Abitudini.

Non sono brava a parlare dei Massimo Volume dal punto di vista musicale.
Non conosco i titoli dei pezzi
Mi hanno conquistata al primo ascolto, ma soprattutto durante gli anni a cavallo tra le superiori e l’università i loro pezzi entravano in maniera talmente diretta dentro di me che non riuscivo ad ascoltarli più di tanto, ci stavo male. Non credo di aver mai messo su un loro cd ne di averlo ascoltato per intero. Il mio rapporto con loro è stato soprattutto live: scorpacciate di reading di Mimì, di tutti i concerti possibili che li riguardassero, ma anche dei gruppi di quella che io identificavo come la loro area: Franklin Delano Blak e/e/e/ (mai capiti lo ammetto). Invece il disco solista di Egle Sommacal, Legno, l’ha comprato Simone e l’abbiamo ascoltato tantissimo.
La novità del nuovo disco, la mia novità personale intendo è che li riesco ad ascoltare senza boccheggiare, senza andare in apnea e senza dover spegnere dopo il terzo pezzo. Arrivo almeno fino al sesto senza incidenti di percorso.
A partire da quello forse potrei decidermi ad imparare i titoli anche dagli altri pezzi e rimontare lo stereo e a tirare fuori i primi cd dallo scatolone.

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