venerdì 27 agosto 2010

sept 09-sept 10


Trying to write something, just for loosing some time.
Nowadays I'm feeling a bit sad, I don't know exactly what to do for the future. The PhD is an option, but I'm not sure I'm able to manage that kind of stress. I mean the way in which friends speaks about doing PhD here. They say you'll do the work (the job) of your professor during the day and eventually start you research in the night. They ever say relationships are very important and that you need to develop political abilities. Indeed, you could loose some opportunities in you can't do that, you cuold be isolated, marginalizated from your academic community.I don't think I'm so strong to do my own stuff without any support. The enviroment in which I work is very improant to me. I even don't know how start a research:every possible idea seems silly to me. It can't help but I'm gonna reading thousands of books. Should I focus myself on cinema or popular music? Shuold I take the Toefl? Phds in England? Maybe a starting point could be keep in touch with my professor, but what we have to say to each other? It seems to much like a pray: the poor student who asks for some advice to his mentors (mentors?) hoping for a "little help". Probably I would do that if I could be able. I feel quite tidy and I feel myself stupid when I try to act like a simphatetic guy or the student "in the know" (or whatelse). So what? I'm hungry.

martedì 10 agosto 2010

vernice


L' estate scorsa ero su un treno. Il treno della prima settimana d’agosto, quello che trabocca di gente. Per trovare posto avevo scalzato una bambina. Ho ancora i sensi di colpa. La valigia in corridoio, le rastrelliere dello scompartimento traboccavano i bagagli di una famiglia diretta dai parenti di Ruvo - hai fame vuoi un panino? No, grazie signora ho mangiato. Come vuoi ma sei così magra.
-costituzione...
-ma come fate voi ragazze ad esser tutte così. Non vi capisco ecco, che ci sarà poi di bello nel diventare pelle e ossa. Per me la Antonella Clerici è un bel modello. Non le ragazzine secche secche della pubblicità.
Sorrido cortese e inizio a percorrere centimetri con le dita, fino alla borsa. La signora seguita a parlare mentre con gesti lenti e studiatissimi estraggo un libro. La guardo, continuo ad annuire ma sfoglio le pagine e ritrovo il segno. Il marito è celato dal paginone rosa della gazzetta.
-ti lascio leggere. Ma se ti viene fame chiedi.
Sono alle prese con un romanzo che mi fa venire sonno. Mi impasta la lingua e la testa. Richiede una concentrazione incredibile, non posso alzare gli occhi che la signora mi scruta pronta a cogliere un mio cedimento per infilarmi in bocca un panino.
Mi faccio forza e continuo a leggere. Siamo ormai oltre Ancona e sto rileggendo le stesse due righe per la terza volta, quando decido che posso chiudere il libro e alzarmi a sgranchire le gambe. La signora s’è assopita, il marito è scomparso lungo la carrozza da un tempo che mi sembra infinito -ma potrebbero anche essere pochi minuti- la figlia piccola legge topolino con grande impegno. Trattengo l’impulso di chiederglielo in prestito e mi affaccio in corridoio. In piedi accanto alla mia valigia c’è un uomo giovane, tatuato con le scarpe di vernice.
Classifico le persone sulla base di quello che hanno ai piedi. Indossare calzature di vernice su un espresso in agosto significa due cose: o appartieni al nutrito gruppo degli stolti del tutto privi di senso pratico o sei uno di quelli che non si separano mai dai propri stilemi nemmeno quando sono palesemente ridicoli. Permesso. Al fianco del tizio la custodia di una chitarra. Ah ecco, chitarrista, snob.
Scavalco altri piedi, crocs, ciabatte, infradito tutto il campionario calzaturiero dell’italia in vacanza, l’inevitabile pozza d’acqua all’interno del bagno. Ritorno. E’ sempre lì. In piedi. Da ore. Guarda fuori fisso. No cellulare, no libro, no Ipod. E che palle. E che resistenza. San benedetto del tronto-ho chiesto alla signora se mi fa dare un’occhiata a Topolino che il romanzo mi stava uccidendo, il tizio si sposta. Solleva la chitarra e si fa strada in corridoio. Bene, penso, la sua penitenza è finita. Invece no. Ritorna dopo qualche minuto con una bottiglietta d’acqua in mano, la custodia rigida e ingombrante nell’altra e si rimette di guardia.
Io mastico il porchetta e melanzane che mi ha offerto la mia mamma adottiva.
Senti... mi lancio con la bocca impastata di panino
Si? Modula interrogativo ma non eccessivamente cortese.
Infilo in automatico la frase successiva:
Vuoi sederti un po’?
Ah, no. No, grazie.
E si rimette a guardare fuori.
Mi sento un’idiota, forse è l’olezzo del panino alla porchetta, forse le scarpe sono comodissime, forse ha fatto un qualche cosa di tremendo la cui espiazione richieda un gesto così inutilmente romantico come farsi bologna-bari in piedi.
Forse ha incontrato una ragazza dai capelli lunghi ma semplicemente lisci e l’ha abbandonata per una dai capelli mesmerici.
Passa altro tempo. La madre dispensatrice di porchetta e la figlia sonnecchiano.
Ma non gli scappa pipì?